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E’ vero che non si può sempre leggere Francis Scott Key Fitzgerald o Italo Calvino e ogni tanto è quasi obbligatorio sfogliare le pagine di qualche prima edizione stampata di fresco o almeno non più di dieci anni fà. Ma spesso, anzi quasi sempre, si va incontro a delusioni cocenti e demoralizzanti. L’antologia “The clash”  purtroppo non fa eccezione e mi permette di trovarmi in disaccordo con un buon romanziere come Valerio Evangelisti, che nella sua generosa introduzione la definisce addirittura “importantissima”. Condivido il suo pensiero quando dice: “l’odierna letteratura italiana, salvo rare eccezioni, si tiene ben lontana da tematiche politico-sociali” ma a me sembra che sia stato fatto lo stesso anche in questa modesta raccolta di racconti tra le cui pagine non ho rilevato la “messa in discussione dell’intero modo di vivere sotto il capitale né ho colto “la sfida al pessimismo corrente” intraviste da Evangelisti. Ho letto un racconto, il primo, che mi ha fatto sorridere, e per far sorridere, lo so bene, bisogna saper scrivere, ma se bastasse mettere in scena la diversità sessuale per generare conflitto percepiremmo in modo più lieve la differenza tra Vladimir Luxuria e Rosa Luxemburg, differenza che personalmente trovo ancora molto marcata. Il secondo racconto è di Marco Capoccetti Boccia ed è un bel racconto. Parla di un’esperienza che ho in parte condiviso, ne parla con orgoglio, ma la storia è quella di una battaglia purtroppo persa e in fin dei conti, nonostante il fomento dell’autore nel rievocare i suoi stati d’animo di quei momenti, perde la sfida nei confronti del pessimismo corrente. Leggere fino alla fine il terzo racconto è stato molto difficile, non sono riuscito ad estrapolarne alcun senso e per me rimane a far parte dell’infinito oceano composto dalle parole di tutte lingue di tutti i tempi dal quale ogni scrittore pesca quelle con cui compone il suo testo. Il quarto racconto è vergognoso. Fa decisamente rimpiangere quello precedente che era innocuamente incomprensibile. Lasciar intendere che chi a Genova  ha spaccato le vetrine di una banca debba essere un provocatore fascista o una guardia infiltrata, definirli, definirci ominidi è infamità. Genova fu messa a ferro fuoco dalla nostra rabbia, la repressione fu durissima, lo ricordo bene, ma la rivoluzione non è un pranzo di gala e se avremo la fortuna di parteciparvi prepariamoci a ben altri livelli di conflitto. Segue un raccontino intitolato luglio sul ritorno a Genova dieci anni dopo che inevitabilmente suscita qualche emozione, almeno a chi era lì nel 2001, perché ci  ricorda quanto tempo è passato. Poi c’è il racconto femminista al sapor di quota rosa seguito da un altro che ho trovato fuori contesto all’interno di un’antologia dedicata alla lotta e al conflitto. Ho apprezzato invece Il risveglio di Luca Palumbo che almeno c’ha regalato un minimo di tensione e uno schizzetto di sangue. Dopo … il nulla. Neanche Marco Philopat che mi aveva tanto fomentato con “La banda Bellini” è riuscito ad essere incisivo e coerente con il tema della raccolta così com’è descritto in terza copertina.

In chiusura il mio saluto, il mio pensiero, i miei migliori auguri vanno a chi ora corre col cuore in gola fuggendo alla condanna di questo Stato boia. Possiate trovare in questo luglio la libertà che sprigionammo undici anni fà e godervela per sempre. Possano non trovarvi mai!

Come è stato scritto sul manifesto che invitava al presidio sotto la cassazione per le condanne definitive del g8 di Genova 2001:

IL NOSTRO UNICO RIMPIANTO E’ NON AVER FATTO ABBASTANZAImage